Dopo aver fatto bisboccia ieri sera, la festeggiata ha qualche linea di febbre. Niente paura, procediamo con una buona colazione e antipiretico, e Sofia prende in mano le redini dell’auto.
Oggi abbiamo una lunga tappa che ci attende, e con lei più di qualche preoccupazione a causa delle temperature presenti in Death Valley, che, non per altro, è definita la terra degli estremi, la valle della morte. L’imperativo di oggi è fare benzina ad ogni distributore che si incontra per avere il serbatoio sempre pieno e avere con noi almeno 2 litri di acqua da bere, ed altrettanti di scorta per la nostra macchina. Ne abbiamo veramente sentite di tutti i colori prima di partire: dai radiatori delle auto che rischiano di fumare a causa dell’evaporazione dell’acqua indotta dalle alte temperature alla possibilità di disidratarsi e subire un colpo di calore. Insomma, questo parco sarebbe da evitare d’estate, ma noi non ci vogliamo rinunciare completamente (sicuramente, se potremo, visiteremo meglio la Death in futuro durante la primavera, stagione che raccontano essere fantastica per la fioritura delle piante, che, anche qui, riescono a sbocciare in questo periodo dell’anno!). Il piano è quello di arrivare in Death Valley nel pomeriggio dopo le 17, quando la temperatura non dovrebbe essere alle stelle. Scegliamo quindi di viaggiare in auto tutto il giorno, imboccando quella che è sicuramente la strada più lunga per arrivare al parco, ma che Sofia eleggerà come la più bella da lei guidata in tutto il viaggio, soprattutto nel tratto Mammoth Lake-Big Pine-Oasis.
Passiamo diverse ore completamente isolate, senza campo telefonico e in mezzo al nulla (e con nulla intendiamo che non esistono stazioni di servizio, distributori, colonnine SOS), con l’unica ma strabiliante compagnia di paesaggi così vasti da sembrare infiniti, di cui i nostri occhi diventano avidi. Incontriamo pochissime auto, ancor meno centri abitati: siamo noi e la natura. La strada è tutto un sali-scendi, le curve sinuose divertono chi guida a ritmo di musica ed ecco i Red Hot Chili Peppers che, fatalità, passano in radio con “Californication”. Sogniamo o siamo deste?! Quest’America è un continuo museo all’aperto.
Ed eccoci, abbiamo varcato il confine: lasciamo temporaneamente alle spalle la California e avanti tutta in Nevada. Di nuovo il “nulla” davanti a noi. Strada facendo incontriamo le cittadine di Lida e Beatty, per poi fermarci in una città fantasma. Posta in una conca riparata del deserto, Rhyolite è stata una città per minatori durante il periodo della corsa all’oro, vicino alla miniera di Montgomery Shoshone. Quando la roccia che conteneva i preziosi minerali si esaurì, la zona venne abbandonata. Oggi è una singolare ghost town, un insieme di pochi ruderi destinati ad essere visitati dai turisti di passaggio o a essere sfruttati come set di produzioni cinematografiche. Di fatto bisogna far viaggiare la mente per immaginare come fosse questo posto quasi 100 anni fa. Non aspettatevi chissà cosa, ma se siete di passaggio vale la pena fare una piccola deviazione per vedere queste quattro pietre e ricamare insieme ai vostri compagni di viaggio storie su minatori ed età dell’oro.
Poco distante, rientriamo nei confini californiani ed entriamo in Death Valley attraverso l’Hell Gate. Scendiamo dall’auto, vogliamo fare una foto. Veniamo investite da un’ondata d’aria torrida, sembra che qualcuno ci segua con un asciugacapelli puntato addosso. Mai avuto una sensazione simile. Rientriamo in macchina e guardiamo la temperatura: 47°C, anzi, 116°F, che fa ancora più impressione.
La nostra prima meta del parco sono le Mesquite Flat Sand Dunes, le dune desertiche. Questi sofficissimi avvallamenti di sabbia sembrano sapientemente distribuiti granello per granello e danno vita ad un paesaggio davvero spettacolare. Ci limitiamo a circumnavigarle in auto, il termometro segna infatti 120°F, il caldo è veramente proibitivo. Torniamo indietro e proseguiamo verso Furnace Creek, dove incontriamo l’unico snodo commerciale del parco in cui riusciamo a vedere più di un’auto ed una manciata di turisti tutti insieme. Poco dopo arriviamo a Zabriskie Point: una passeggiata di neanche 50 metri ci permette di raggiungere il punto panoramico da cui si aprono vedute sui calanchi erosi in pieghe particolarissime. Al tramonto ci troviamo nel bel mezzo della scenografica “Artists drive”. Questa strada circolare a senso unico è un vero gioiellino naturalistico che ci ha regalato una corsa tortuosa ed imperdibile tra le rocce colorate e gli stretti canyon del parco. Mettete su uno dei dischi di musica che più vi piace e guidate per queste favolose nove miglia, vi si mozzerà il fiato.
Termina qui il nostro caldo assaggio della Death Valley. Prima che faccia veramente buio decidiamo di uscire dal parco e prendere la strada più breve, che comunque ci sembra interminabile, per arrivare a Las Vegas. Guidiamo nel buio serale per almeno due ore, occhi sbarrati sulla strada che riusciamo a seguire facilmente grazie alle intelligenti linee segnaletiche catarifrangenti disegnate lungo la carreggiata. Sono proprio loro a salvarci dall’assenza dei lampioni permettendoci di guidare con serenità anche dopo il tramonto del sole (perché in Italia non le abbiamo?!). E proprio quando buio e “nulla” ci hanno ormai fagocitate, scorgiamo in lontananza una quantità folle di luci. Eccola, improvvisamente ci appare lei, Las Vegas, la città artificiale nel Deserto del Mojave, capitale del gioco d’azzardo e luogo di perdizione per antonomasia da più di cinquant’anni. La sua vitalità e la frenesia che dilaga ci sembra chiara già dallo stile di guida degli automobilisti che popolano la superstrada che conduce alla Strip, la via principale dove si affollano casinò e hotels. Stando attente alle altre auto, delle vere e proprie mine vaganti che sfrecciano e tagliano tutte le corsie della superstrada, riusciamo ad imboccare l’uscita giusta. Ci infiliamo nell’affollata zona dei casinò, dove lo stile di guida non cambia, e finalmente raggiungiamo il nostro hotel, il “New York New York”. Lasciamo le valigie nella nostra bella camera che affaccia sulle montagne russe di proprietà dell’albergo e decidiamo di cenare allo Stratosphere hotel perché vorremmo salire sulla sua torre (350 metri di altezza) per godere della vista dell’intera città dall’alto. Purtroppo quando arriviamo è troppo tardi, non è più possibile accedervici. Mettiamola così, abbiamo risparmiato la bellezza di una ventina di dollari a testa. Affamate, optiamo per una soluzione molto comoda: ci fermiamo in un american burger, il Roxy’s Diner, all’interno dello Stratosphere. Dopo pochi minuti veniamo travolte di nuovo dallo spirito chiassoso della città: una cameriera vestita a puntino comincia a cantare una canzone degli anni 50, saltellando allegramente di tavolo in tavolo. Tutti i clienti (noi comprese) rimangono ammutoliti ad ascoltare questa meravigliosa voce e durante la cena altre showgirl e showman catalizzano su di loro l’attenzione e ci fanno rimanere di stucco. Ma siamo finite in un set cinematografico durante le riprese di un film? No, tutto normale, siamo “solo” a Las Vegas.
E’ quasi mezzanotte quanto torniamo al nostro hotel. Abbiamo ancora benzina in corpo quindi usciamo a piedi e percorriamo la strip, strabuzzando gli occhi alla vista di hotels dalle forme più strane, sorridendo davanti alle ricostruzioni di città come Venezia e Parigi, passando dall’Egitto a New York tra gente stravagante e turisti incuriositi come noi. Ci fermiamo in due casinò a tentare la sorte, che, ahi noi, non ci è molto amica. Veniamo inghiottite da un’infinità di metri quadrati dove regnano luci caleidoscopiche, roulette colorate, tavoli da gioco, macchinette tintinnanti di vincite o perdite condite da un acre odore di sigaretta. Niente finestre o comunque finestre oscurate, banditi anche gli orologi in modo da non scandire il tempo che passa e da far fluire più soldi possibili. Sappiamo di essere in un ambiente accuratamente studiato per incitare il gioco, ma ci immergiamo consapevolmente tra slot machines e tavoli da biliardo che ci fanno perdere il senso del tempo; colpite e affondate da una città che vende divertimento, che seduce con il gioco d’azzardo e porta a tentare la sorte anche gli animi più disinteressati.
Torniamo in hotel che ormai è quasi l’alba. Una giornata così intensa ce la si può permettere solo a quest’età. Strabiliante!
S&V.